LA LEGGE NATURALE

 

           Qualche tempo fa mi trovai a cena con un gruppo di amici, tutti di dichiarata pratica cattolica. Si parlò ad un certo punto di argomenti di attualità riguardanti la vita umana, al centro,  sempre,  di ampie discussioni in Italia ed in Europa per il loro significato etico e morale, quali la procreazione assistita, le cellule staminali, l’aborto, l’utero in affitto, le unioni civili, forse l’eutanasia. Un amico proclamò la sua netta adesione alla prevalente interpretazione della teologia cattolica, nel senso che una legge naturale, assoluta e quindi immutabile per sua natura, escluderebbe necessariamente le sopraddette pratiche da ogni possibilità di compromessi applicativi; la conclusione era quindi l’inutilità di affrontare approfondimenti del discorso, in quanto per definizione fondati su presupposti sbagliati. Mi parve capire che l’amico non intendesse limitare la sua affermazione ai soli credenti cattolici, ma desse per scontata la sua validità universale.

 

           Non è certo nuovo il riferimento ad una legge naturale morale, già ben presente oltre che nella cultura filosofica e religiosa anche nelle basi dei sistemi giuridici, ai quali fornisce una giustificazione etica ed un supporto per renderli accettabili e per poterli imporre in modo coercitivo. Ma dovremo pur chiederci cosa intendiamo per “ legge naturale “ ( almeno nel solito modo approssimativo che mi è proprio ).

 

           Si tratterebbe, e scrivo appositamente al condizionale, di un insieme di comportamenti di rilevante impatto morale ed emotivo, individuali o di gruppo, che si constata venire considerati positivi dalla quasi totalità degli esseri umani, con scarse variabilità anche nei lunghi periodi di millenni e nelle diverse aree geografiche e nelle diverse forme organizzative dei popoli; inoltre dovrebbe essere diffuso un senso di forte disapprovazione nei confronti di coloro che non agiscono secondo tale legge ( che non occorre venga tradotta in una specifica legislazione, anche se poi in pratica normalmente lo è ), nell’assunto che si tratti di mancata osservanza di normative di alto valore etico. Talune religioni, sicuramente quella cristiana, ritengono sia presente un più o meno diretto intervento divino nella formazione di determinati criteri di valori negli individui, valori che costituirebbero per l’appunto quella legge naturale da cui sarebbe fondamentalmente ed universalmente immorale discostarsi.

         Debbo sicuramente riconoscere nella storia e nella coscienza dei popoli una costante convinzione dell’esistenza di alcuni principi irrinunciabili; tipici esempi possono essere la cura della prole, il rispetto della vita altrui, il rispetto della dignità di ogni individuo, il rispetto dei beni altrui; si tratta solo di esempi quasi banali, solo per fare capire a cosa mi riferisco.

 

           L’alternativa ad un tale concetto di legge naturale sarebbe definire la indubbia ampia diffusione di giudizi positivi o negativi su certi comportamenti semplicemente come un utile mezzo che ha assicurato la migliore sopravvivenza e diffusione di alcune popolazioni a scapito di altre; è un dubbio che mi sento costretto a coltivare, come tanti altri che ho. Quei comportamenti, in sostanza, sarebbero stati una strategia vincente di gruppo, indipendentemente da un carattere divino ad essi attribuibile; io sono propenso a ricondurre anche i contenuti della “ legge naturale “ ad un progressivo affinarsi di strategie utili alla competizione, quindi con motivazioni molto più concrete e meno nobili di quelle di ispirazione divina.

 

           Mi si può dire di avere riconosciuto il rispetto della vita e quello dei beni altrui tra i valori storicamente assai diffusi presso i popoli, quasi una conferma del riconoscimento di un ampio concetto di diritto naturale, sottintendendo altresì etico. Non vorrei sembrare un distruttore di miti, ma ho cercato di analizzare il possibile processo storico che ha condotto alla formazione, alla affermazione ed alla diffusione di due pilastri della convivenza come appunto la tutela della vita e della proprietà. Ho l’impressione che i componenti delle antiche comunità tribali abbiano sentito l’esigenza di norme di salvaguardia, e ne abbiano accettati i relativi vincoli limitativi, non tanto per soddisfare il proprio senso di giustizia e di rispetto nei confronti degli altri, quanto piuttosto per trovare essi stessi una protezione a proprio favore; voglio dire che, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere di nutrire rispetto e di riconoscere alto valore etico alla legge che tutela la vita e la proprietà in quanto essa tutela la mia vita e la mia proprietà, sicuramente non in quanto essa sia destinata a tutelare la vita e la proprietà di altri; poi accetto che la legge tuteli anche gli altri, come compromesso necessario per ottenere io stesso una ragionevole tutela qualora ne avessi necessità. Del resto non vengono ricordati casi di proprietari di terreni che abbiano spostato i confini a beneficio dei vicini, di abitazioni che siano state riempite di oggetti da parte di ignoti anziché da questi svuotate, di passeggeri di autobus che si siano ritrovati banconote infilate di nascosto nelle tasche piuttosto che borseggiati; ciò significa che è difficile pensare alle norme giuridiche come limite agli impulsi di bontà che le persone possano avere nei confronti di loro simili. La legge, quindi, è un utile mezzo del governo pubblico per regolamentare la civile convivenza, nel senso di tutelare principalmente il mio diritto; mi riesce invece difficile immaginarla come traduzione nella società di un più alto ( divino ) sentimento etico. Del resto, anche per quanto riguarda proprio la vita e la proprietà, quante interpretazioni diverse ed alternative ci vengono offerte, vedi le numerose comunità in cui non esistono beni individuali, o la scarsa considerazione della stessa vita non in casi isolati ma a danno di milioni di esseri umani ancora oggi ed in qualsiasi continente.

 

           Come continuo a ripetere, le mie ipotesi non toglierebbero nulla al mondo del sopranaturale e del divino, semplicemente lo sfronderebbero ulteriormente di sovrastrutture e fronzoli impropri ed anzi devianti: la mia idea è che Dio debba essere qualcosa di ancora molto più grande, anche ben oltre i nostri tentativi di attribuirgli determinate intenzioni.

         Conseguenza della mia ipotesi è la possibilità che la “ legge naturale “ non possa venire invocata come limite non discutibile ( a  parte la difficoltà di stabilire quale e dove sarebbe quel limite ), ma possa invece venire modificata e quindi disattesa, senza per questo porsi necessariamente in contrasto con la volontà di Dio. Certo, alcuni comportamenti sono quasi sempre stati oggetto di diffusa disapprovazione; è però anche vero che nel corso della storia sono ricorrenti i casi di interi gruppi di esseri umani che si sono comportati in modo contrario, ponendo così almeno in dubbio che abbiano sentito molto radicata in loro la legge naturale: molti hanno anteposto la propria vita, il proprio interesse, la propria soddisfazione, la propria sopravvivenza a quella altrui, confermando semmai come la vera legge naturale universalmente diffusa sia la competizione totale, mentre, purtroppo, il desiderio della diffusione di comportamenti etici interviene in modo subordinato ed in circostanze successive. I comportamenti eticamente positivi vengono ritenuti irrinunciabili da tutti solo nelle situazioni di minori tensioni, in quei periodi felici che fanno da raccordo tra successivi eventi cruciali della società in cui si decide la sua stessa esistenza o si stabiliscono  nuovi patti fondamentali di essa.

Se la mia ipotesi fosse davvero totalmente infondata, come si spiegherebbero le passate e le presenti violenze non opera di singoli, ma attuate da intere comunità, da interi popoli, protratte anche per periodi di tempo significativi, durante i quali i principi etici sembrano proprio essere rimossi od almeno temporaneamente accantonati?  Sicuramente, come per ogni fenomeno descritto, si potranno elencare molte eccezioni di purissima aderenza alla più nobile “legge naturale”; il mio dubbio è che questi casi non riescano ad essere maggioranza nelle situazioni significative, cioè in quelle situazioni in cui le scelte costano davvero e si devono pagare pesantemente di persona.

 Un caso a parte mi sembra essere quello dei rapporti in ambito famigliare, dove effettivamente è riscontrabile una maggiore, ancorché non assoluta, propensione ad attenerci a comportamenti altruisti, specialmente nei confronti della prole; ma anche quei contesti mi sembrerebbero più riconducibili all’istinto di conservazione, di affermazione e di propagazione della propria discendenza, piuttosto che adesione volontaria ad una più alta ( divina ) legge morale. Considero simili le circostanze, osservabili con una certa frequenza, di adesioni temporanee a linee di condotta altruiste e disinteressate nei confronti di appartenenti a gruppi di persone che abbiano interessi, valori, sentimenti, emozioni omogenei, almeno per il periodo in cui il gruppo rimane coeso;  penso ai tifosi sportivi, ai partiti politici, ai movimenti patriottici, ai seguaci di religioni, ecc.; tutti casi in cui l’etica del gruppo e nel gruppo è utile alla finalità di migliorare l’affermazione della propria comunità, piuttosto che testimoniare l’adesione volontaria ad una più alta ( divina ) legge naturale.

Mi sembra allora che con il nome di legge naturale si possa intendere l’esigenza di un comportamento ritenuto positivo per le particolari finalità di un certo gruppo di individui in un determinato contesto storico; osserviamo anche che alcuni comportamenti fondamentali vengono ritenuti utili da molti gruppi in diversi periodi, quindi ad essi possiamo attribuire un campo di validità più ampio rispetto ad altri, ma – secondo me – sempre nella definizione di mezzi utili al raggiungimento di più soddisfacenti risultati per una società, quindi con un intendimento utilitaristico piuttosto che ideale o etico in assoluto od addirittura morale in senso divino. In questa affermazione potrete cogliere la differenza della mia opinione rispetto a quanto enunciato all’inizio del capitolo sul significato attribuito al termine “ legge naturale “.

Ma poi mi chiedo ancora: chi e come potrebbe stabilire quali dovrebbero essere e dove andrebbero posti i limiti principali della legge naturale ? Perché non c’è dubbio che, se davvero fondamentali, intangibili e forse di ispirazione divina dovessero essere, allora la loro definizione dovrebbe risultare ben evidente e condivisa, cosa che non riscontriamo nei fatti; diversamente verrebbero proposte interpretazioni soggettive, quindi personali e variabili, della voce di Dio, possibilità questa che mi lascia assai sgomento.  Credo che a tutti sia capitato di leggere racconti di fatti orribili della storia originati dal convincimento di qualcuno di essere autorizzato ad interpretare in modo esclusivo ed indiscutibile la volontà divina, chiamando a supporto delle proprie iniziative ora questa ora quella esigenza morale. Quante volte gli uomini si appropriano, anche in buona fede ma comunque per eccessivi zelo e convinzione, di alcuni principi che possono ben essere di per sé ottimi, ma che diventano aberranti se isolati da un contesto di rapporto e di confronto con altri principi di altri individui, e che possono invece condurre ad azioni di sconvolgenti ingiustizie!

Perché allora non separare, di nuovo, Cesare da Dio, riconoscendo alle società umane il potere di elaborare ed interpretare al meglio le proprie esigenze, riconoscendo onestamente che queste potranno essere in contrasto con quelle di alcuni e cercando quindi – questo sì che sarebbe utile – di individuare le modalità meno traumatiche per affrontare l’inevitabile confronto?  La parte di Dio, e di tutti coloro che con la buona volontà si sentano pronti a rendere testimonianza, sarà allora rammentare l’unica grande indicazione che abbiamo ricevuto: ama il prossimo tuo, sii pronto a sacrificare qualcosa di tuo e di te a favore del tuo prossimo, beati gli operatori di pace, beati i giusti, beati i …

E qui, non sapendo come andare oltre, chiudo per il momento l’argomento.

 

Franco, Febbraio 2005

 

 

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